giovedì 12 luglio 2012

Dans le noir du temps


NELLA NOTTE DEI TEMPI (1)
Godard, epifanie volatili degli ultimi minuti. Gli ultimi minuti del tempo, gli ultimi minuti della gioventù ecc. Pare sempre manchi qualcosa, che qualcosa sia stato strappato. L'attenzione, in fondo vien rivolta maggiormente a ciò che non esiste.






DANS LE NOIR
DU TEMPS

Perché è buio nella notte?
Chiede una voce femminile

Un uomo, davanti ad un fuoco risponde.
E' la voce di Godard.

"Forse questo mondo manca di luminosità.
Gli servirebbe una torcia per illuminarlo.
Guidare qualcosa di lontano e portare qualcosa di nuovo
Sopratutto di fronte alla folla.
Penso sempre che questo sia necessario"

* * *
In realtà voleva dire

Forse l’universo, una volta era giovane come te.
Tutto il cielo era tutto in fiamme.
Mentre il mondo cresceva, cresceva piu lontano
Quando guardo il cielo tra le stelle
vedo soltanto ciò che è scomparso

Percè è buio nella notte? dico io

C'è un buco vuoto nella gravità
dentro un buio gravido
Dentro quel buco va a finire ogni buio
Tranne quello che ognuno tiene dentro di sè
Ma questo è un altro discorso

Ogni buio poi, tanto riprende il suo giro
C'è prima uno schianto, lo senti
cade dentro ma non senti il tonfo.
(Qualcuno ha detto si sentiva un tanfo)
Poi c'è una visione, poi senti un canto.
Il buio è l'amore coniugale dell'abisso.
La dove si incontrano pianeti ed astri
Il sole e la luna se ci son nuvole
Il buio, il loro letto coniugale o l'alcova.
E' questo che si deve raccontare ai bambini.





(1) Quello di Godard è' uno spezzone del film ad episodi "Ten minutes older"

sabato 4 febbraio 2012

Diario dalla palude

Un ice-post tratto e riadattato da "Orizzonte mobile" di Del Giudice.
Bellissimo questo video, da un documentari di Wemer Herzog



Nella base artica, la baracca nella palude
Longitudini e latitudini
45° 38' a nord 12° 15' a est (Casier - Tv-)
La merla nei giorni, l’Antartide
Smilla aveva un senso per la neve



I pinguini guardavano i propri compagni morti

con assoluto stupore. “Non importa cosa sarà di me”

sembravano dire i loro occhi. Non sapevano della merla.

Il pinguino mi guardava incredulo. Ha fatto un giro

un giro completo attorno a sé. Secondo lui

dovevo essere sparito. Se fai un giro attorno

le cose dovrebbero cambiare. L’ho fatto anch’io

un giro completo però volevo che delle cose tornassero

com’erano prima.. Il segreto dei pinguini, nei giorni

della merla, è nel loro essere al tempo stesso impeccabili

ed impacciati. Nella loro grazia c’è una sorta di autoironia.

Non ce l’hanno fatta a diventare pesci e pur essendo uccelli

non volano piu e come bipedi sono lenti e preoccupati.

Non so se sai che sono i maschi a covare le uova.

In mezzo al ghiaccio, sulla riva

davanti alla baracca, ce n’era uno e cosi sono andato la.

C’era bufera e non si vedeva quasi niente. Ho scostato

Il pinguino di lato, ho preso l’uovo e ho sentito questa cosa ovale e fredda.

Era un uovo di ghiaccio. Sembrava vero. Il pinguino s’era perso l’uovo,

si vergognava, se n’era fatto uno finto.

L’ho guardato. Mi sentivo sconvolto.

Negli occhi del pinguino la mortificazione, per quella sua struggete finzione.

e io gli stavo portando via anche quella.



mercoledì 1 febbraio 2012

Amorevoli lame che pianti


knives from ,\\' on Vimeo.
.

VIOLA AMARELLI


(prendi un coltello)

Prendi un coltello-bambina.
Attenta ai mostri. Ai lupi. Ad amici e parenti.
E sconosciuti. 
Prendi le forbici – gioia.
C’è il male e c’è la pazzia.
Attenta a non incontrarli, per ora, ora che è
troppo presta.
Diventa tu folle, affonda le lame,
dentro più dentro coi denti.
C’è la paura e c’è l’orrore. Umano.
Carezza le bestie.
Tua madre ti ama.

Preso da qua http://www.nazioneindiana.com/2012/01/22/violas-knives/#more-41417

Fulminante, come il gesto rapido del lancio

Spietato. Crudele pare ogni verità. Tua madre ti ama.
La lama ti sfiora. Non si vede sangue.
Non ti ho mica fatto niente? E' solo amore.
Come l'amore t'amato infine si mostra: Attenta!
Lame dentro le parole, negli sguardi, nei silenzi.
Lamette nel minestrone, schegge di vetro nel tiramisù
Ma che altro puoi fare? C'è un rischio da correre.
E volano coltelli. Poi tanto ti abitui, pian piano...vedrai.
Ogni amore si annuncia, nasconde lame lanciate
che ti schivano e si piantano, la carne freme, alle volte si eccita
Ti abitui al pericolo, purchè non finisca, l'amore molesto.
Purchè non ti si lasci al silenzio, all'indifferenza,
purchè non ti faccia sentire senza niente.
Il pericolo si annida fuori da ogni amore, dove sei solo.
E' la che temi stare, senza niente.
Dove nessuno lancia coltelli o, se sono, son altri, quelli cattivi.
Carezza le bestie.
Le bestie che ringhiano dentro ogni amore.

(simurgh)
quando diventa uomo loro
li lanciano veri,
quando loro diventano lei
 invece la lama si scioglie
e l'arma del delitto sparisce,
sono più "fini" le signore.


più son signore e più sono affilate
e mica intendo dire di taglia o tailleur.
(Ugo)




A Wislawa Szymborska





martedì 31 gennaio 2012

chissà se qualcuno mai


Chissà se qualcuno mai

ha piegato e messo via quelle lenzuola

dove ci si è amati per non dimenticare piu?

E senza adoperarle ancora; ritirate come la maglia di Baresi

Chissà se dopo stendendone di altre

tirandole bene senza nessuna increspatura ne piega

chi sapeva ancora lì hai dormito te qui invece io

in quelle lievi impronte lasciate a sedimento sul materasso

L'evoluzione della specie ci ha trasmesso complessità

segni scambievoli d'amore, elaborate alchimie

geometrie di corpi che disegnano incastri

accostando piacere a piacere, affinando il desiderio

grumi di respiri divisi per ordine o confusi nell'amplesso

per poi farsi come respiro spossato del lottatore

Lottatore che un qualsiasi giorno dopo ha mollato la presa

lasciando la i suoi grumi di respiri, gli spasmi, le convulsioni

perchè tu ne avessi cura anche se non lo rivedrai più


venerdì 27 gennaio 2012

Un altro Orhan

"Fin da bambino, per anni ho creduto che vivesse un altro Orhan, del tutto simile a me, un mio gemello, in una strada di Istambul, in un'altra casa simile alla nostra. Non mi ricordo dove e come ebbi per la prima volta questo pensiero. Molto probabilmente, il pensiero si era inciso dentro di me alla fine di un lungo processo, tessuto di incomprensioni, coincidenze, giochi e paure[. .] A cinque anni ero stato mandato in un'altra casa.  I miei genitori, dopo la separazione, si erano incontrati a Parigi e avevano deciso di lasciare me e mio fratello a Istambul. Io ero andato da una zia materna, mentre mio fratello era dalla nonna paterna e il resto della famiglia. Su una parete di questa casa, dove ero sempre stato accolto con affetto e sorrisi, c'era la fotografia di un bambino piccolo, in una cornicie bianca. Ogni tanto lo zio e la zia, indicando la foto dicevano sorridendo "Guarda, quel bambino sei tu"

Quel bambino grazioso, dagli occhi grandi, si, mi assomigliava un pò. Allo stesso tempo però, sapevo che non ero esattamente io. (In realtà la fotografia l'avevano comprata in Europa) Poteva il bambino essere l'altro Ohran cui pensavo sempre, che viveva in quell'alta casa? Anch'io adesso vivevo in un'altra casa. Forse ci ero andato per poter incontrare il mio simile che viveva da un'altra parte di Istambul, ma io non ero affatto contento di questo incontro. Volevo tornare a casa mia, a Palazzo Pamuck. Quando mi dicevano che era mia quella fotografia sul muro, nella mia testa tutto si confondeva: io, la mia fotografia, la fotografia che somigliava a me, il mio simile, le immagini di un altra abitazione si mescolavano e volevo tornare a casa...."
(Orhan Pamuck - Instambul - Inizia cosi)
Io non ho mai creduto che vivesse un altro me da qualche parte però quella dimensione di spaesamento l'ho vissuta eccome. Tutt'ora, la amo, la cerco, la esploro piu che altro. 

giovedì 26 gennaio 2012

Haiku dei branzini


Richard Braudigan a pesca di branzini

R. Braudigan con Greg keeler

Questa è un'invenzione ispirata dai racconti di Braudigan

-Il sole ha le sue lune, gli disse con sguardo assorto guardando il cielo tra i rami del sottobosco. Ha le sue lune, pensò l’altro, come le paludi hanno le loro brume. Boh. Era un giorno cosi e vide una baracca la in mezzo. Si fermarono a guardarla. In un angolo del tetto una lamiera si era staccata. Il vento caldo la faceva sbattere ad ogni folata, tu tun. Il sole ha le sue lune, ripete l’altro mentre con un retino catturava delle mosche. Gli sarebbero servite come esche per la pesca al branzino. Quell’altro ancora pensò che non avevano portato le canne, cioè le canne si ma non quelle da pesca. Passarono accanto alla baracca con la lamiera nell’angolo del tetto che sbatteva. Dietro, a poca distanza, c’era una latrina malmessa e scrostata. La porta era spalancata. Dentro non c’era niente. Quello che aveva detto che il sole ha le sue lune, disse fermandosi che la latrina, a guardarla sembrava dirgli “Hei, il vecchio che mi ha tirato su a tavole e chiodi, l’ha fatta qui dentro 9745 volte e ora è morto e non voglio che nessuono mi violi. Era un brav’uomo. Mi ha trattato con cura e affetto. Quindi, se vi viene in mente, vedete di farvela passare. Se vi occorre, andate in mezzo i cespugli come i cervi.”
“Chiedi allora alla latrina se questa è la baracca del signor Hayman”.
“Dev’essere questa si. Abbiamo fatto la strada segnata sulla mappa.”
Non quello delle lune, l’altro non lo ascoltava piu di tanto, ma era buffo. Poi, dall’alto videro sotto il lago. Era come una ghirlanda brillante. Guarda laggiù, gli disse indicando con un dito. “Allora dev’essere questo il posto” disse girandosi mentre si grattava la testa. “La c’è la baracca, la sotto c’è il lago e in torrente dev’essere qua vicino… diamo un’occhiata. “ I due si allontanarono verso est rizzando le orecchie. “Si dovrebbe sentire il rumore dell’acqua” disse quello delle lune. “E’ un torrente no?” Presero un piccolo sentiero che si vedeva appena e lo seguirono. Camminarono tra i raggi di sole che s’infiltravano tra i rami. La storia che gli avevano raccontato era che, nell’anno che il signor Hayman era morto, i branzini non avevano piu risalito Hayman Creek. Era successo che avevano preso a salire quando lui era la.. Lui ne prendeva uno due ogni tanto. Li mangiava crudi assieme a del grano macinato.  Avevano dato il suo nome al torrente. . Morto lui, nessuno ne aveva piu pescato di branzini.  Qualche anno dopo la sua morte, un paio di guardiapesca rasalirono il torrente con un secchio di branzini da vasca da bagno. Volevano provare a ripopolare dei branzini quell’acqua dimenticata. “Tanto vale buttarne qualcuno qui”, disse uno dei due. Perché no? Disse l’altro. Fatto sta che, buttati i branzini dal secchio nel torrente questi, dopo due secondi erano gia girati con la pancia all'in su, morti, che scivolavano verso il lago nella corrente. Non c'è stato verso di vederne piu di branzini da quelle parti, dopo la morte del signor Hayman.
Intanto quello delle lune insieme al suo amico trovarono il torrente. Loro erano di quella genia de "I vagabondi del Dharma", dei ragazzi cresciutelli che amavano il jazz e la poesia. Andavano a pesca del branzino in America e gli era venuta questa fissa degli haiku. Secondo complicati calcoli astronomici e suggestioni alchemiche, avevano individuato nell'Hayman Creek il nucleo della legge cosmica dell'haiku. E cosi si sedettero sopra un masso per uno sopra il letto del torrente Hayman Creek. Hayman, l'uomo che aveva fatto risalire i branzini fin la sopra quel torrente. E cosi, dopo essersi guardati un po in giro, cominciarono ad inventarsene qualcuno.
(simurgh & Richard Brautigan)

Qua ci sono degli haiku, anche qualcuno sbagliato, ma non importa. Sono affari loro. Uno scambio tra due. Questo racconto si ispira a "Pesca alla trota in America" di Richard Brautigan che con i ragazzi del dharma ci aveva a che fare, visto che era beat generation. Questi haiku sono alcuni di quelli che non  potrebbe scrivere chiunque

Eagles - Desperado

Haiku

Un cielo scuro
attraversai il fiume
Branzino guizzò

Radi salici
Sull’argine del fiume
palpebre chiuse

Palpebre chiuse
Sul balcone del letto
pessimo vino

Branzino guizzò
Sull’orlo del fiato
Buona giornata

Mi manchi oltremodo
Balcone radioso
tempo immoto

Tempo immoto
Claudica la tremula mente
Inzuppa biscotti

Biscotti inzuppano
Nella tazza respirano
Liete le ore

Raggiungimi ai pozzi
Sul dosso ancheggia il cammello
Turba il fagotto

Sveglia dal sonno
respira la cetra sotto le mura
soffia il fagotto

Dentro una gabbia
un canarino al sole
arruffa le piume 
  
Una grossa mano
afferra canarino giallo
mette in bocca

la pelle trema
sdoma ritorna
da un'altra porta
 
pozzanghere scure
siepi altezzose
sgroppa la mente

                                                  "Tra Lee Masters e Kerouac, Brautigan si muove con l’autorevolezza dello sperimentatore cosciente di offrire attraverso una storia di tutti i giorni, semplice e conosciuta quale l’andare a pesca, magari in autostop, una chiave di lettura della realtà capace di sezionarla, scomporla e ricomporla a propria misura, sia pure anche per divertirsi a renderla indecifrabile per sé e per gli altri."

mercoledì 25 gennaio 2012

Ormai è tardi


Li tenevo chiusi ancora, trattenendo il bulbo come un pesce in fondo ad una pozza che si gode il sole, immobili dietro il loro sipario cercando di rievocare le dita che li avevano chiusi. Stamattina non volevo aprirli, come se tutto potesse restare dietro le palpebre, come un vento leggero tra l'erba tenerli. Immaginarle le dita, il tocco che posa, invernate d'estate che par primavera e poi ancora inverno d'estate, e la pelle del dito, le impronte disegnano un labirinto dove inoltrarsi e non puoi aprirli gli occhi, devi solo sentire, ascoltarle le dita, il loro braille che suona.  Le premevi appena, con inconsistenza, come una cosa frugale da non badarci, però a me sembrava non fosse altrimenti. Tienimmi la dietro, mi hai detto con il tuo braille fatto di labbra. Li tenevo chiusi e tu eri la, ancora, con le dita sulle palpebre, sentivo. Non mi fidavo però. Mi guardavi, sentivo. Eri in piedi. Perchè? Sorridevi. Ho fatto finta di niente. Si sentiva un elicottero passare li fuori nel cielo. Poi ti sei messa a ridere. Che c'è? Eri bella, splendente. Io allora ho stretto le labbra. Facevo le rughe e tu prendevi un pò paura però. Se non ti guardo, tu sai che perdi man mano energia. Lo sentivi. Guardami dai, sembravi dire. Io ogni tanto, scoprivo una piccola fessura, un appena invisibile. Un vederti da dietro che non passava neppure in quella crepa negli occhi, le ciglia impastate. Quando è cosi dovremmo scappare, mi hai detto. Scappare uno dall'altro. Se lo sapevo prima, mi hai detto, se lo sapevo, scappare per non incontrarsi, neanche la prima volta, niente, neanche incontrarsi. Ma ho paura ormai, dicevi, ho paura che sia tardi. Non c'è niente da fare, ormai. Ormai è tardi! 
  
Vedi poi?
Io li ho tenuti chiusi gli occhi
Ogni tanto appena una sfesa (fessura)
Tu dicevi ma daiiii
Mi dicevi perdo potenza
Poi, pian piano ti ho visto diventare cosi
Mi guardavi con tenerezza
Sembrava capissi
Dovevamo fuggire ma ormai
Ormai è tardi