sabato 26 novembre 2011

Tre sassi, tre spari


Van Morrison - It's so quiet in here -

(Racconto poetico nel quale, il presunto poeta, ispirato dal rumore che fa un cartoccio di carta dove, dentro teneva delle castagne abbrustolite. Quel rumore a lui, sembrava quello della pioggia e, da la è partito il resto. Molte suggestioni si sommano dando vita ad una storia che dovevo pur finire in qualche modo. Che son robe che, se a me restano la, fanno venire il nervoso). Allora:

Pioveva sulla tettoia di lamiera
sulle foglie secche d'autunno
dai colori incendiati dall'estate
Pioveva sul laghetto
e le gocce lasciavano
mille puntini in sospeso
Una carpa sboccava a pelo d'acqua,
poi un guizzo
Una mano dentro un sacchetto di carta
pelava la scorza abbrustolita di una castagna pomposa
Un bambino scese di corsa dal pendio
Indossava gli stivali e una cerata gialla come le foglie. Tutto cio è gia una vicenda
uno spazio tracciato. Il tuo sguardo si sposta. Il bambino arriva di corsa. Un momento perfetto. Con quella rincorsa, il bambino compie il gesto, si arcua all'indietro mentre il braccio si raccoglie quasi dietro la testa ad accumulare potenza: L'altro braccio è ritto davanti, fungendo da bilancere e scaglia quel sasso. Il lanciatore di giavellotto.
Piu o meno cosi


Non si accorse di te sotto la tettoia.
Ti venne in mente quando avevi imparato tu a lanciare i sassi. Un movimento che al corpo non si insegna. In ogni parte del mondo i bambini imparano a farlo. Il modo è lo stesso. Quello del lanciatore di pietre è archetipo guerresco. Hai pensato che dev'essere stato quando l'uomo ha imparato ad usare la lancia.
Dall'altra parte un corvo era sceso dal ramo
Saltellava per terra, lungo la riva
Tu immaginasti i piccoli segni
le tracce stampate sul fango delle sue zampe



Proprio mentre lo stava per scagliare, il bambino vedendo il corvo saltellare, in quell'istante corresse il tiro. Cercò di colpirlo. Emise un Uuff di fiato al lancio rabbioso.
Ci mise tutta la forza.



lenti come gesti dispersi
che lo sguardo immobilizza e cattura
come il muschio nascosto
che cresce su ogni domanda

Una rana da un sasso saltò in acqua.
Tu mettesti in bocca la castagna.
La pioggia sbatteva sulla lamiera.
Lanciare un sasso è cercare un confronto:
La resistenza dell'aria che viene forata.
Non si contano i sassi e neppure i rami o le foglie
neppure i battiti d'ala che servono al volo si contano
Il corvo si alzò sbattendo le lucide ali
Il bambino voleva combattere
Nessun suono, solo la pioggia
La castagna sprigionò un sapore di fuoco
Poteva essere uno sparo, una lancia scagliata
un coltello che si pianta, un'arteria tagliata
Non c'era nessuna paura negli occhi del bambino
Un'incomprensibile furia.
Stava solo imparando a non avere paura.
Il corvo spari sopra i rami spogli

Quando è il cuore a scavarsi una tana
e nella tana si porta tre sassi, tre spari
Tocca, dammi le mani, sfiora le mie cicatrici.
Son cento, son mille inzuppati dei sassi
lanciati a tre volte per volta nel fiume


Nella mano nascondi la rabbia, la paura.
Un rito iniziatico. Non l'accetti, la sfidi.
Era la il bambino, immobile a fissare oltre la riva
Le braccia lungo il corpo serravano i pugni.
Sopra un cumulo di sassi a sventolare il suo vessillo.
Sassi per sfondare ogni fronte, resistenza, colpa, perdono.
Finchè ci saranno sassi proveremo a capire
per cosa vale la pena vivere, per cosa morire.
Polifemo, dalla scogliera, lanciò pietre alla nave di Ulisse.
ἔνθα δ' ἀνὴρ ἐνίαυε πελώριος, ὅς ῥα τὰ μῆλα
lapidazione4

Scagli la prima pietra chi è senza peccato
E il bambino non aveva peccato
Il cane le morde non potendole scagliare
Le morde perchè gliele tirano addosso.
Le sgretola e poi sopra si stende
Tu uscisti dalla trettoia, sotto la pioggia
Andasti verso la riva. Il bambino si girò.
Non vi parlaste. Il corvo era sul ramo.
Tirasti fuori la pistola e prendesti la mira.
Cadde dal ramo. Un colpo, un tonfo.
Rimaneste li in piedi, fermi a guardare.
Lui era tuo figlio. Solo dopo lo venni a sapere

lunedì 21 novembre 2011

Heavy birthday

Bello questo. Per il compleanno. Fa proprio pendant con il blog
La birra, il rock sfrenato. Heavy birthday.
Grazie teti


domenica 20 novembre 2011

sollazzo e del come il tuorlo sul filo d'olio sfrigoli d'amore

sollazzo

Foto del 17 di novembre, attorno all'ora del tramonto

Cala giu,
arriva in fondo,
fa veloce, nella sua ora.
Son stato la, sul bastione dell'avamposto.
Spazzolo l'orizzonte con il binocolo.
Sò ormai come fa. Non vede l'ora. Cosa fa?
C'è tutto un'intrallazzare su nei cieli. Ci son tresche.
L'aria, a quest'ora qua è particolarmente voluttuosa.
Il sole ne va matto quando si fa di velluto e sete grosse.
Si slaccia dalla seduzione delle nuvole e del cielo
Stasera aveva dato appuntamento all'orizzonte
che al cielo lungo apre la sua ferita le mestruazioni.
Preferiva la metafisica del confine, l'alterità.
Sulla bocca di tutti, lo dicevano, ma lo si sapeva in pochi.
Calò giu poggiandosi con mestizia su quella linea
come un tuorlo d'uovo senza suono sulla padella
con modalità tonali per dar risalto allo sguardo
parve quasi sfrigolare su quel filo d'olio all'orizzonte
Lo invitava a stendersi l'orizzonte, a placarsi
e si avvertiva lo spessore dell'aria, farsi denso
Mise un foulard sull'abatjour a render tenue il visibilio

(Le rovine
I ruderi della piana
disseminati in giro
cercano un luogo loro
Quantomeno somigli
il crollo
alla familiarità
della rovina.)



Lo vidi in fondo farsi piatto, assotigliarsi, concupendo
la lunga linea sul delimitar della piana come un'infanzia che trema
Le nuvole, rasentando uno squagliamento arrossirono
Respirando l'aria, soffiarono tepori, come perle vacue.
Imbarazzate, guardando in giro, preferendo quasi eclissarsi.
Nel vederlo, con i suoi ampi fianchi, le cosce imperlate
di sudore e di voglie, concedersi fino a tremare

C'è un pudore nelle nuvole, lo si sà. Loro sono mistiche
Non sono quelle nerborute e scure dei temporali e delle furie
In quel rossore si dissolveranno preferendo ritirarsi nelle loro camere

(come un satrapo
loculo di copule infinite
strenua luce per i probi
ansima insinuandosi
tra le pieghe e le voglie
tralasciando ogni decoro
le nuvole per lui son ripiego
L'orizzonte invece, il tonfo
a risalir su, fin alla nuca
scivolare dalla guaina
il vagito e poi il fiato grosso)

La resistenza ad una lingua. Chissà come lo fanno?
Dall'avamposto non vedevo. E' cosi che si costruiscono i vulcani?
Si batteva per l'angelo del lirismo e dell'idillio
ma si batteva con arrendevolezza
ogni volta che gli chiedeva, lei si concedva

La luna era anche uscita prima.
Mica puo aspettare sempre l'eclissi.
Troppa gente in giro.
Avrebbe preferito si eclissassero
e restar loro due da soli.
Ci sono posti in fondo alla piana
dove, delle volte vanno ad imboscarsi.
Nascosti tra i pioppeti e i fontanazzi.
Ma, il sole è un puttaniere.
e lei aveva le palpere come gusci,
gonfie e ripiene di falene
Per lui avrebe preparato doni
e meraviglie a milioni

Di stelle ne ha pieno il firmamento
ma firmerebbe in bianco
sole per quella stella la
che non ci sta neanche
in quel firmamento,
che compare solo
quando scompare il sole
e il tempo scomparirà con noi, forse.

Poi lo si vede
steso di luce
l'orizzonte
al suo abbandono
intrecciare le gambe
a quelle del sole
stringersi lascivi
e cadere poi
al di la della linea
e il cielo gettare le coltri


E cosi poi, ho messo la girandola infilata sopra il fanale
e l'ho presa di corsa a pedalare per il gusto di sentire
i sibili disordinati della sua elica volare fino in fondo
lungo la strada in terra battuta, seguivo il canale
dove il chiaro ancora comincia a mescolarsi allo scuro
Non le vuole piu nessuno le girandole. Come mai?


Son belle da mettere fuori del finestrino correndo no?
C'è un balcone a Venezia, mi viene in mente, un terrazzo
al di la del canale vicino alla chiesa che ne è pieno di tutti i colori
E quando nel canale c'è corrente d'aria è uno spettacolo
Tutti si fermano a guardare di meraviglia estasiati il loro sibilo
Non tutti no, tanti non se ne accorgono neanche
Ah, le girandole, che belle. Che fine hanno fatto? Non si usano piu?

Ma guarda come è andata a finire questa storia di copulazioni.
Sono arrivato alle eliche delle girandole, sono arrivato.
Mi sa che la riprendo e ne faccio una storia a parte.


La mia terra, fino all'orizzonte
violata e pura prima delle nebbie

«Quando scrivo mi capita di pensare a Totò. Totò ci ha riscattato tutti, ha sgonfiato i tromboni. Perché scrivere? In fondo si scrive perché nessuno è mai da solo, perché immagini da qualche parte qualcuno in sintonia con te. Forse, si scrive solo per amore…».
(Gianni Celati)

martedì 15 novembre 2011

Sakamoto


Ci sono tanti silenzi, variazioni sul tema, come le tristezze, le foglie nei colori d'autunno, due colombi sulla fontana l'acqua che cade sulla pietra è un modo del silenzio per me; ed anche la musica di Sakamoto lo è stata l'altra sera al Geox di Padova. Mi era rimasta impressa la sensazione di ciò, del silenzio anche tra grumi di note che scivolavano via. Tornando a casa poi, in macchina, non ho messo su niente, nessuna musica, il rumore di fondo dell'auto, un non-rumore. Anche questa è una categoria, come l'acqua della fontana, o come quello del vento, suoni del silenzio. "L'odore degli elefanti dopo la pioggia, come una vertigine che ti trova quando non la cerchi piu". Una dimensione che sorprende. Pensando a quanto raramente riusciamo ad accedervi, a concederci il lusso di quel tempo. Una volta avevo un posto in cui mi ero creato un tempio per quel tempo dedicato al silenzio. Era il mio giardino personale, in una zona di risorgive, pieno di pozze d'acqua che sgorgava dal fondo. Avevano un suono quellle bolle quando si liberavano nell'aria. Un suono liquido che viene dal sottosuolo. Anche quello di Sakamoto si puo definire un suono liquido. Droni, molecole, bite, onde che fluttuano e spostano, riaccendono e distendono, scatenano impercettibili epilessie, l'elettricità purpurea che nel corpo ci attraversa. Durante il concerto ho notato la questione del battito. Non è proprio quello che si farebbe con il piede. Un pulsare in testa, regolare e scandito uniformemente nel tempo. Quel genere di regolarità che ci fa che ci fa aspettare come che qualcosa accada. Un'imminenza che non sai distiguere se non la porti a livello di coscienza. Allora pensavo che, se non è cosciente, è un'emozione indistinta che fluttua e si mescola ad altre: E che uno non sa distinguerle, scinderle, dargli un nome. Piuttosto le associa ad immagini visive.
Personalmente, piu di ogni altro, lo preferisco con David Sylvian. Non so se sarà piu possibile ascoltarli dal vivo quei due.

Ryuichi Sakamoto Trio 1996 - Merry Christmas Mr. Lawrence -

Deve avere una predilezione per i primi tasti, la sesta ottava diciamo, quella con i suoni piu acuti. Quando si sofferma la, mi viene in mente un piccolo pianoforte che avevo da bambino, dove picchiavo con un dito. Quelle note della canzone qui sopra, all'inizio. In moltissimi punti ho sentito il respiro che si bilanciava alla melodia, alle suppliche, al corteggiamento, anche a grumi di rabbia. Come se la musica riflettesse le dinamiche di una vita emotiva, la sua, che si dilatava e contraeva alla mia. Dev'essere una questione di battiti. C'è questa questione dell'aspettarseli, come un tendersi sulle corde, prevederli, anticiparli ed è li che a volte ti inganna, per sorprenderti. Il fatto è che li conosci quasi tutti quei pezzi. Però erano riarrangiati, diversi. Penso che l'estrazione metrica, il sapere quando la pulsazione accade e cada, sia cruciale per l'emozione musicale. Nella violazione e nell'inganno che la musica perpetua ecco, il violare delle nostre aspettative. Che sia il timbro, il profilo melodico, il ritmo, il tempo ecc, ecco, l'esecuzione dal vivo sorprende ed inganna.
Lo trancio da qua il post. Non so, magari domani mi vien da scriverci dell'altro ma non mi pare sia il caso, visto la piega da che due maroni che ha preso.
Chiudo bottega. Vado a cena

Ryuichi Sakamoto Trio 1996 - Rain -

domenica 13 novembre 2011

Mandate a dire all'Imperatore


PIERLUIGI CAPELLO
Questo è il suo sito personale ci trovi delle belle poesie


La prima volta che l'ho visto è stato a Udine. C'era una specie di reading,mi pare.
Siccome vorrei scrivere delle poesie western ecco, lui la faccia ce l'ha.
Non so se uno ha presente Chiusaforte? Chi vuoi che ci vada? Un posto perso al confine. Non c'è niente. La crescono dei duri. Adesso vive a Tricesimo, da quelle bande, vicino Udine. In una specie di baracca, anzi un prefabricato di quelli avanzati dal terremoto, che deve avergli dato il comune. Dono degli austriaci però. Lui è in sedia a rotelle. Ha peso le gambe in un incidente. Da piccolo, a Chiusaforte, non c'era niente. A lui piacevano i libri, le avventure. C'era una bottega che ne teneva, pochi, economici. Lui ha cominciato cosi, con Hemingway. Era matto per Hem. Tutto dev'essere cominciato cosi. Magari è stato proprio Hem a fargli scoprire il suo talento.
Le parole sono cieche ma anche cercando troverete. Capello dice che a lui interessa il trattino, quel trattino tra le due date: di nascita e di morte. Quel trattino è la linea di tensione tra due parole, parole diverse, che di per se significano altro dalla loro congiunzione. Sommandosi creano una metafora. Non è importante comunque la metafora ma la tensione che questa sviluppa. Quella tensione è vitale. Le parole sanno farlo. Io no, per esempio. Siamo qua per imparare, diceva sempre mio padre.
Se tu provi una parola, provala, fin che trovi quella giusta; quella parola serve per percepire qualcosa che è fuori di noi e che vogliamo sentire dentro, come suona. Allora devi nominarla, la parola fa esistere le cose, ti fa valicare il confine che ci separa dal di fuori e che rimarrebbe inespresso.
Ad un certo punto Capello parla del calabrone e dice che rappresenta un fastidio, un disturbo. Entra e sovverte l'ordine immobile delle cose, uno stato di equilibrio. Capello congiunge parole poetiche e costruisce la metafora. Qua, sul calabrone ne puoi trovare diverse. Ad un certo punto apre la finestra e il calabrone esce nel sole, svolazza lasciando la sua scia di zzzzzzz e tutto torna al suo equilibrio.


La, in quei posti suoi, la gente parla poco, è gente che tiene duro, ma che anche parlano moltissimo tra loro, i vecchi con quelli che hanno cresciuto. E' per loro che hanno tenuto duro ed è con loro che stanno assieme, i vecchi, i ragazzi, i bambini. Un mondo fatto di piccoli gesti, tutti i giorni " il portafoglio nero, nella tasca di dietro o impugnare la motosega"
Questo, suo padre. E' commuovente come traspare nelle sue parole il legame: " E qui mentre (...) / il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato/ mio padre torna sempre con nella sua tela cerata verde/ bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere/ come fosse eternamente schiuso/ (..) io sono lo stare di quell'uomo bagnato dalla pioggia/ che portava in casa l'odore di traversine e ghisa".
Se è andato a stare dove sta, in quel prefabbricato a Tricesimo, è stato per stare vicino al padre Monaldo, che era in un ospizio la davanti.
Un mondo fermo, dove non sà se c'è ancora quel filo che lega il successo al succederà, e lui sta la a "dividere il tempo grano a grano" , e cosi dedica il suo tempo a star fermo, che è un modo per star piu alti e piu lontani, allora dice "Chiusaforte è tutti i ritorni che mi allontanano".
"Siamo ancora cosa siamo stati.
In questo modo di stare, precipitati".
Capello a starci un po vicino, ti da l'idea di uno sereno, quasi mistico, tranquillo eppure è uno che spreme dalla sofferenza esistenziale la sua poesia, un dolore vero, mica come faccio io, scarti del quotidiano, effemeridi, piccoli conti. Ha uno stile poi Capello, secondo me, che lo senti quel modo suo di metterlo in poesia alta il tracimare dentro del malcontento. Il suo dolore è di razza. E' dato da quel cielo di confine, da quella valle scura, dal passero che in mezzo al gelo non vuol saperne di smettere di cantare, da quelle nuvole gonfie come quelle di Van Gogh che fanno impressione, dalle mani piene di tagli e calle della gente. Non è un dolore da fighetti. E' il dolore della sua terra, e questo ha un sigillo tutto suo, la solitudine della carnia, dignitosa, schiva, un brontolio sommesso del confine. Diverso da quello del fiume, della palude, della sicilia o della toscana, che ne so. E' una forza la sua poderosa, che costruisce attraverso indizi, lo sguardo d'aquila.


«Così come oggi tanti anni fa


mandate a dire all’imperatore


che tutti i pozzi si sono seccati


e brilla il sasso lasciato dall’acqua


orientate le vostre prore dentro l’arsura


perché qui c’è da camminare nel buio della parola».


"Mandate a dire all'Imperatore" è il sovvertimento di un racconto di Kafka. "E' la voce di chi sta fuori dallo spazio delle leggi. E' la voce di chi non deflette lo sguardo di fronte al potere"



"Chi non sopporta il vino
è costretto a sopportare la vita"
(P Capello)


Altri due di questo west di praterie e cieli da cavalcare Corona e Maieron
"La neve di Anna" è una storia bellissima




My body is a cage

La mia prima poesia western













Arriverò al tramonto avanzando piano
con il cavallo
sulla via principale del paese
usciranno a guardare dai saloon
Arriverò con il sole dietro
In controluce solo una sagoma scura
Non sapranno dire chi è quello la
Uno che vien da fuori, non è da qua
Non riusciranno a centrarmi
Hanno il sole negli occhi
Se erano indiani non si facevano fregare
Io tenevo le mani strette ai calci delle pistole
Bisogna tenersi pronti nella vita
Guardarli negli occhi e sparare per primi
Nella vita si avanza con il sole alle spalle
Tanti la preferiscono con il sole in fronte
Quelli la son tutti morti, i poeti
Avanzavo piano, tenendoli d'occhio
Uno si è mosso con un guizzo
Gli veniva da starnutire per il sole
L'ho fatto secco e gli altri han alzato tutti le mani
Avanzavo piano, con il sole del tramonto dietro
C'era Corman Mc Carty seduto dall'altra parte
Mi ha messo poi nel libro Meridiano di sangue
E' cosi che hanno poi saputo il mio nome
Controluce Sim

(simurgh nel far west)

sabato 12 novembre 2011

Farla spurgare bisogna, farle venir giu quel che resta a questa vita


Che ci devo fare se la vita non ti da quel che ti deve dare?

Ho messo i soldi dentro alla macchinetta qua al lavoro.
Lavoro anche il sabato delle volte. Son tempi duri quelli che vengono avanti no?
E quella canchera non mi butta giu i biscotti e se li tiene la incastrati? A me?



E allora la si scuote per bene questa infida e micragnosa vita.
La si sacchetta, la si percuote. La si prende per le spalle e la guardi ben negli occhi.
Una testata gli tiri se fa finta di niente. Spurgare deve, perquoterla per bene, come un albero da frutto, fargli cadere quel che la si tiene come fosse roba sua, la canchera.

guadagnare il centro della pedana, fargli sentire il tempo con i piedi, anche delle pedate ci stan bene. Alzare a folate il canto del guerriero. Dietro a me suonava uno col contrabbasso. Li sentivo la intorno quelli della ghenga. Ci fu un applauso quando entrarono i Witnesses, i testimoni. Cosi si chiamano ma mancava il batterista.
Prima che mi mettessi la e mi prendesse l'epica del west e i pistoleri loro dissero Eccolo e allora per forza, mi sentivo investito della parte e gliel'ho fatta vedere io a quella macchinetta



Loro caddero incantati dalla visione, mugulavano e presi dalla fascinazione mugolavano con gemiti primitivi, poi cominciarono con Everybody needs somebody; quella dei blues brothers. Poi la band attaccò a tradimento, anche se non c'era il batterista, con una marcetta italiana da matrimoni " Angelina...just your cosce are so nice Angelinaaa" Tutti facevamo Uh Uh Woh Woh e ci abbracciavamo tutti ed era swing ormai.
Insomma è amdata cosi. Non sto a dirvi tutto che adesso sono al lavoro e devo anche andare a casa. Della roba l'ho fatta anche cadere giu ma ormai non mi interessava piu niente. Era festa!



1 Ringo
1 Mars
1 Duplo


Chissà cosa voleva dire?


Stamattina mi sono svegliato
Ero plumbeo dal di dentro
Il petto incrostato, una nuvola scura
rivestito di feltro
Mi sentivo un fotoreporter
ma di cronaca nera degli anni 30
Non so perchè. Ero torvo
di malavoglia, il vento, la pioggia
andar di controvoglia
Ho appeso la macchina al collo
sotto l'impermeabile verde marcio
Ho preso la borsa col flash
Mi son messo il cappello
Mi sono appeso la cicca sul labbro
le mani infilate in tasca
e sono uscito.
Riguardati. Stai attento.
Stai attento al cuore.
Chissà cosa voleva dire?

Certe poesie non si dovrebbero neanche scrivere?
Non hai niente da fare?

E' che sono a difesa del tunnel
Per strada ho visto un bambino sorridere con severa applicazione.
Era assieme a due compagni, andavano a scuola, attraversavano la strada
Mi sono fermato. Ha fatto un cenno con la testa agli altri due.
Era lui il capo. In quel sorriso c'era indulgenza.
Ho pensato che era un bambino che cominciava a metter su il suo esercito.
Ho preso su la macchina dal sedile e ho accelerato.
Li ho presi in pieno mentre scattavo.
Una foto da cronaca nera.

Le parole hanno dei colori
Queste hanno questo colore qua
Che è quello che ho trovato
ma sarebbe piu scuro e marcio
Un impermeabile militare,
Avevo uno sfregolio di cristalli in grembo
Stavo fermo. Li guardavo luccicare

Per una chirurgia antiestetica
bisognerebbe rifarsi il senno.
Si puo? Chiedo, si puo?


Delle volte, mentre faccio la strada per andare al lavoro, se non scrivo pensieri d'amore mi vien da pensare a storie cosi.

domenica 6 novembre 2011

La profezia - Kafka sulla spiaggia - Murakami

A Genova, come in tutti i posti dove ogni volta sono annegati, sommersi, affogati, dispersi; ogni volta qualcuno l'aveva detto.
In molti, tra tutti da tempo, l'andavano dicendo e, il loro era un sentire. Una profezia.

La profezia (Murakami)

" La profezia è sempre li, torbida come acqua che ristagna nel buio.
Di solito si nasconde in qualche luogo sconosciuto. Ma arribva un momento in cui cresce silenziosamente e trabocca, invadendo con il suo freddo ogni tua cellula, e in questa crudele inondazione annaspi e affoghi. Ti attacchi al portello per la ventilazione che è vicino al soffitto, e cerchi disperatamente l'aria di fuori. Ma l'aria che puoi aspirare da li si consuma in fretta e la gola comincia a bruciare.Elementi normalmente in contrasto come acqua e sete, freddo e febbre, uniscono le loro forze per attaccarti.
Con tutto lo spazio immenso che esiste al mondo, non riesci a vedere nessuno - e ne basterebbe pochissimo - che possa accoglierti. Quando cerchi una voce trovi solo un silenzio profondo, ecco la voce incessante di una profezia, una voce che a volte preme quella specie di interruttore segreto nascosto da qualche parte della tua mente.
Il tuo cuore assomiglia ad un grande fiume ingrossato da lunghe piogge. Tutti i segnali stradali sono stati sommersi dalla corrente e trascinati in qualche luogo oscuro. Mentre la pioggia continua a cadere violenta sul fiume. Ogni volta che vedi ai notiziari immagini di inondazioni come questa, pensi. Ecco, dentro di me è esattamente cosi"

(Haruki Murakami- Kafka sulla spiaggia - pag 11)

"Come in un magico addio
Acque sulle acque che respiriamo
E passiamo attraverso queste porte
per non tornare mai più. "

(Preso da QUA', senza autorizzazione)

Genova

Però di pesci non se ne son visti sulle strade, poi.
Come mai?



Guardala, arriva. Nessuno sapeva
Come nero si stende. Notte buia ti prende.
Nel grembo si chiede come mai si tace
lei scende e tutto si prende, guardala arriva
Nu l'è l'aegua ch'à fà baggià, nu è l'aegua
Nera è la malasorte che ammazza e passa oltre
Nel fango si resta, non ci si fascia la testa
Esonda puttanassaevatroia. Chi cazzo l'ha detto?
Tracima nei bollettini dei politici e degli assassini.
l'acqua che sbanda, che sbatte, che soffoca infine
e il tumulto del cielo non sbaglia momento
Lui ha sempre ragione, dal cielo castiga
Non lo dice il prete che passa a benedire
Non lo dice alla madre e neppure alla bambina
dice andranno in paradiso incrostate di fango
Metterò una corona infangata sopra ogni A
Alluvione si chiama? E' quello il suo nome?
Amiala cum'à l'aria amia cum'à l'è cum'à l'è
cantava Farizio De Andrè E' cosi che si chiama. Guardala!
Non si fa neanche in tempo ad avere paura.
Non fai in tempo a dire niente, il tempo di una preghiera
Guardala, arriva. Ed è gia li a metter sotto ogni cosa
Come un ladro che ruba e, scoperto uccide
Non ti resta che prenderti per mano a battaglia finita
E' l'acqua senza colpa. Non ci stava piu dentro.
Lei castiga, passa e uccide, innocente poi fugge.
Dolce e nera di fango riempi le bocche


giovedì 3 novembre 2011

Paesaggio con fratello rotto (2)



A volte posto qualcosa dettato quasi da un'impulso. Qualcosa che mi piace, che mi colpisce. Non so bene ancora cosa sia. Poi magari, un commento mi sollecita, mi ci fa tornare sopra e mi si svela quell'inconscio impulso.
Il commento era questo:
Teti
"..forse solo che dalla nostra generazione in poi almeno ce lo chiediamo cosa lasciamo ai figli, perchè i nostri genitori queste domande non se le facevano in questi termini, semmai in quelli concreti della dote o del patrimonio, della sicurezza economica, insomma, anche perchè l'etica la morale ecc erano altra cosa da adesso, o forse erano più bravi a capire cosa fossero e a cosa si riducesse l'intera faccenda. comunque se sono riusciti loro a sfangarla nonostante la guerra e ci siamo riusciti noi nonostante quel che ci siamo ritrovati, ce la faranno anche loro. personalmente ho una visione apocalittica, ma se mi guardo intorno, non la vedo tutta questa preoccupazione e indignazione praticata, tanto che sto quasi imparando a interpretarmi come se i miei pensieri fossero un film e neanche girato da me. poi tante domande le ho dismesse con l'abitudine a farne. a me sembra di condurre una vita dignitosa e rispettosa sebbene ai margini e non posso farmi carico anche dei comportamenti altrui, ma ti pare?che poi lo so che chi leggesse penserebbe e penserà, "ma tu guarda sta presuntuosa", ma che potrei rispondergli?"vieni qui tu, facciamo cambio per tre mesi. ma ti devi impegnare a fare tutto come lo faccio io e poi ne riparliamo".ma l'arte è l'arte, non si discute. la signora Gualtieri cavalca l'onda come tanti.io vorrei sentire voci fuori dai cori che cantano apparentemente fuori dai coretti__ ma è anche vero che son due settimane che il dottore non passa e ho finito le medicine. sarà quello? (mi sa di sì! ^__^)"
Ecco.

Le rispondo
come con te adesso, la tua angolatura che spiega anche la mia, mi ritrovo. E allora ci tornerei sul post a scriverci delle cose, a spiegarlo quel perchè. La Gualtieri cavalca l'onda, è teatro civile, si rivolge ad un pubblico che le vuole sentire quelle cose, che di certo sente anche lei, però "vende" un prodotto, si guadagna la pagnotta, risponde alle richieste della clientela. Non è che dica poi ste cose e la retorica prende il sopravvento. A me piace la Gualtieri, la sua poesia. In questo caso mi piaceva l'impianto scenografico, che è di Ronconi. Mi piace l'uso della voce, la percezione apocalittica e via discorrendo. Sul contenuto delle parole sono d'accordo con te, quindi. Ecco, il tuo punto di vista, secondo me è molto piu interessante, essenzialmente Pasoliniano, un dar contro alle convenzioni che stimola una riflessione che va oltre le mode degli indignati, che pone su di sè lo sguardo piu che sui colpevoli esterni, i fantasmi ecc.

Grazie teti

Altri stralci:
Teti
"...a me sembra di esserne quasi fuori (anche dall'indignazione in effetti mi sembra di esserne fuori), abbiamo infinite risorse a cui accedere per aspettare di morire dando_ci un'idea, un barlume di impercettibile differenza tra lo stato di sopravvivenza e quello di coma apparente. o no?brava però la signora Gualtieri, io meno, poco meno che analfabeta sono, ma _ nella mia testa _ le cose sono ben dette. è fuori che escono quasi sempre storte (o maledette)! "

Io
"..Della Gualtieri amo l'effetto scenico, estetico e truce. E' qualcosa al di la di quel che dice, la metafisica. Della lagna non mi interessa e manco ancora di cosa andremo a raccontare ai nostri figli o di come l'abbiamo ridotto il mondo. Chi? IO? Mi piace quel teatro, ecco. Le parole somo d'impatto apocalittico, recitate in quel modo. Insomma dovrei scriverci un commento sotto a quel post. Mi stai dando degli stimoli. Grazie

martedì 1 novembre 2011

Paesaggio con fratello rotto


«Come siamo andati lontano da ciò che ci tiene in vita!» grida la filosofia.


Che cosa diremo a quelli che nascono ora?
Che scusa troviamo
per questo disastro umano?

Che cosa abbiamo dimenticato? Cha cosa?
Quando piangiamo. Quando
siamo a pezzi. Quando
il sole non ce la fa più
a darci consolo. Che cosa si è
da noi scancellato? Quale
semplice formula? Cha parola, che cifra?

Che parto rifiutato ha fatto
di noi solo un nome e un cognome?
Solo un corpo terrestre?
Solo due mani, un petto,
una schiena. Ah! Che cosa? Che cosa?
Che cosa fa di noi solo
un grumo nello
splendore del mondo?

Vedi? Siamo solamente umani, solo terrestri,
veniamo partoriti solo in parte
e dentro un lungo grido. Facendo
piccoli pezzi mandiamo giù il finito
a morsi a sorsi a dosi molto piccole.

Ci serve denaro e
Versamento di sangue. Confini, nomi
servono per ogni minimo stato. poi
porte muri cancelli muraglie dogane
bastioni, muri e muri, per il dentro
e il fuori, per il qui e il lì, perché
tutto sia a misura del respiro, creduto
vero, in quella sua piccola taglia
di fiato.

Ci serve
il nome per non restare sgomenti.
Ci serve il principio e la fine di tutto
ci servono i pezzi i nomi dei colori
l'andata e il ritorno, il sì e il no
lo sparo e l'urlo.

Che cosa abbiamo dimenticato?
Nella micidiale corsa, nella micidiale
Notte. Come siamo aridi, vinti, gettati dentro
Una ferita, nella dura pista terrestre.

Stretti qui, sotto
un immenso che spezzettiamo in nomi.

Che cosa?

Nessun popolo è mai stato
Lontano come questo
da ciò che lo tiene in vita.
Nessuno porta la ferita
con quell'indifferenza nostra.

Che cosa? Che cosa?

Guardando da qui
non si osa credere che sia proprio così.
Guardando da qui, ora, solo si vede
maestoso e modesto, il dolore,
di una creatura sola.

Mariangela Gualtieri

Si trova in cofanetto dvd a 16 euro. Allegato un libro di 140 pagine.
Un bel regalo da fare, secondo me

PAESAGGIO CON FRATELLO ROTTO
Trilogia
1. Fango che diventa luce
2. Canto di ferro
3. A chi esita