giovedì 30 giugno 2011

around l'idea di poesia

Campo S. Barnaba
In una piazza di Venezia, a Campo S Barnaba, tempo fà, c'era questo tipo dall'aria che si intuiva bizzarra, che girava a rovistare nei luoghi dove gli altri non guardavano e ogni tanto lanciava un urlo. La gente passava, in genere turisti. Sentivano quel grido e si giravano a guardare. Un grido che ti faceva fare un soprassalto, come frantumasse l'aria immobile della piazza. Non c'era una ragione apparente perchè quello la si mettesse a fare un urlo. Poteva essere di rabbia, gioia, dolore, allegria. Non era chiaro. Poi una voce, era di uno delle bancherelle nella piazza, cominciò a rispondergli. A grido rispondeva con un altro. Un doppio grido. Un grido che poi restava fermo e per qualche istante creava un senso di sospensione, come un funambolo che attraversasse sopra la piazza, camminando su un cavo. Quella tensione provvisoria ecco, per me è quel che intendo poesia. Al grido rispondeva il grido. A quel tragico del primo rispondeva un altro che lo annullava. Ed era un dialogo strambo, eccentrico, sorprendente. Si intrometteva tra le chiacchiere dei turisti, delle guide culturali, dei camerieri, delle duchesse ai tavolini. Era una cosa umanissima, che toglieva ogni finzione, ogni vanità alla maestosità dei palazzi. Non so, per me quel grido là era poesia. Ecco, la poesia è quel tipo là che lancia urli. Il suo grido in giro si farà sentire sempre, e qualcuno sarà la a rispondere, almeno spero. Altrimenti la poesia sarebbe terribile.
Un grido solo, un grido solo fa paura.




Due commenti di là dicevano:

"Spazio spazio io voglio"
Spazio spazio io voglio,tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita;
voglio spazio per cantare crescere errare
e saltare il fosso della divina sapienza.
Spazio datemi spazio ch'io lanci un urlo inumano,
quell'urlo di silenzio negli anni che ho toccato con mano.
- Alda Merini

..sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
Alda Merini

6 commenti:

Paola ha detto...

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti,
che cercano in mezzo alla gente l' Europa o l' Oriente,
che guardano alzarsi alla sera il fumo o la rabbia di Porto Marghera...

Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
è morta di parto gridando in un letto sudato d' un grande ospedale;
aveva vent' anni, un marito, e l' anello nel dito.
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti...

Venezia è un' albergo, San Marco è senz' altro anche il nome di una pizzeria,
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
Stefania d' estate giocava con me nelle vuote domeniche d' ozio.
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un dolore a livello del mare.
Il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
c'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre...

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa,
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino.
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale...

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità.
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega!
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino.
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti...

Venezia - da "Fra le via Emilia e il West" di Francesco Guccini

http://youtu.be/VzEcPrIapYA

Paola ha detto...

Mia madre è di Venezia, precisamente di Sant'Elena.

...era marzo dell' '87 o '88. Ultimo giorno di carnevale. La sera prima partiamo in treno. Già da Bologna, alle sei del mattino, nel silenzio di una normale giornata lavorativa, iniziano a salire persone in maschera. Alle sette arriviamo alla stazione di Santa Lucia e a piedi raggiungiamo piazza San Marco.
Di quel periodo non ho gran bei ricordi, ma di quella giornata ne conservo uno come fosse un quadro d'autore!
...faceva freddo, c'erano ovunque degli altoparlanti così si sentiva, in leggero sottofondo, il rondò veneziano e dalla nebbia, tra i ponti e le calli, sbucava ogni tanto una maschera. Sai di quelle maschere antiche, con costume d'epoca e il volto completamente coperto o truccato che vedendola ti passa uno di quei pensieri rapidi del tipo "da quant'è che gira questa maschera così vestita e truccata? è una maschera o un fantasma che approfitta del carnevale per uscire allo scoperto e girare tra la gente senza essere notato e senza mettere paura?!"...

La nebbia e le maschere...è un po' così anche la vita...nebbia e maschere.
Buona giornata.

simurgh ha detto...

PAOLA
La venezia di Guccini, ha uno stesso grido in quella ragazza che muore, nella Venezia che si vende. Mescola queste due cose assieme, nella canzone, come una morte comune. Le sirene e Porto Marghera è la citazione operaista. Allora ci stava bene.
"..un sogno, di quelli che puoi comperare,
però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un dolore a livello del mare."
Guccini potrei citarlo tra i miei modelli formativi. Ad un certo punto deve avermi impresso un sigillo. Mi piacevano le storie che cantava, il modello poetico, il suo modo di narrare. La locomotiva, penso, a quel tempo che mi dicevo comunista, a quanto la si è cantata a casa di qualcuno, con chitarre e bottiglie di vino e occhi pieni d'amore per qualche ragazza.
Non ascolto piu Guccini, da molto.
Quante cose, nel frattempo ho perso.
Ho riletto un bel libretto di un poeta russo, Brodski, "Fondamenta degli incurabili". Ecco, preferisco il suo sguardo su venezia a quello di altri.
http://www.lankelot.eu/letteratura/brodskij-fondamenta-degli-incurabili.html

simurgh ha detto...

Di quella maschera allora, Brodski avrebbe detto che è come l'accesso al nulla delle cose e di se stessi.
La nebbia oltre la maschera.
E' proprio un bel quadro d'autore il tuo sguardo, riuscire a coglier in tal modo la maschera in giro per calli.
He he, nebbia e maschere si.
La consapevolezza di questo, forse in qualche modo consola. E' la stessa cosa però magari aiuta, io penso, al saperla vedere da questa angolatura che immagino sia, la tua come la mia, d'altronde. Non sò.

Anonimo ha detto...

"Tutto questo è successo solo una volta, anche se mi dicono che di posti come quello, a Venezia, ce ne sono decine. Ma una volta può bastare, specialmente d'inverno, quando la nebbia indigena, la famosa nebbia, trascina la città fuori dal tempo, rendendola più atemporale del SANCTA SANCTORUM di qualsiasi palazzo.
la nebbia non cancella solo i riflessi, ma tutto ciò che abbia forma: edifici, esseri umani, porticati, ponti, statue. Il servizio dei vaporetti è sospeso, gli aeroplani non atterrano, né decollano per settimane. Le botteghe restano chiuse. La posta non arriva più.
E' come se una mano brutale avesse rovesciato come guanti tutte quelle infilate di stanze e avesse avvolto la città in quei tendaggi.
La sinistra, la destra, l'alto e il basso si scambiano posto e riesci a trovare la strada solo se sei del posto o hai un Cicerone. La nebbia è fitta, accecante e immobile.
Quest'ultima qualità è però un vantaggio se devi uscire per una rapida commissione perché allora, al ritorno, puoi infilare il tunnel che il tuo corpo ha scavato nella nebbia dell'andata: è probabile che il tunnel resti aperto per mezz'ora.
Nebbia vuol dire tempo per leggere, per tenere accesa la luce tutto il giorno, per non esagerare con il caffè e con le riflessioni poco consolanti. Per ascoltare le notizie della Bbc, per andare a letto presto. In breve, tempo per obliare se stessi, nella scia di una città che ha smesso di farsi vedere. Senza volere, obbedisci alla città, specialmente se anche tu, come lei, non hai compagnia.
Non essendo nato in questa città, puoi vantarti almeno di avere in comune con lei l'invisibilità."

Bello...credo che lo leggerò.
Paola l'altra...l'anonima!

simurgh ha detto...

Chissà, la nebbia, a Venezia la vedo matrona, flaccida signora, distesa sul divano e broccati, stravaccata e languida soffia gorgogli, si gira e rigira, sposta la coscia, accavalla le gambe, non trova la quiete, solleva le nebbie, come le gonne, dilata e offusca, indefinisce contorni la, dove tutto si perde.
Mentre qua, nella piana, la mia la vedo allampanata, regale come una sposa, vestita di bianco che incespica leggera tra i mori e i fossi, tra i campi gelati e i pioppeti mancati.
Non credo siano tutte uguali le nebbie. Ad ognuno le sue.
Quella di venezia, la matrona, madre di tutte me la vedo a covar le sue uova, attorniata dai canali come vassalli, che sa far sparir ogni cosa, anche maestosi palazzi regali, cupole e campanili, intere lagune.
Ecco, a me prenderebbe adesso seguir invenzioni ma son qua al lavoro e devo andar a mettere su una pasta che son con altri due colleghi e loro hanno gia fame, loro.
Grazie paola
guccini
brodski
la nebbia
le sirene del porto
S Elena
le maschere
e cosi via