sabato 21 maggio 2011

Tanto che resta?



Come a volte ci si trovi inospitati da sé
Come si senta possibile il luogo tuo perduto
E allora vorresti sentire una nenia,
una voce che ti dice vien qua
Appoggia il tuo viso al mio petto fiorito
ricolmo di grazia e di spasmo
e sentire un tintinnio, le campanelline dentro di sé
invece sei la che stringi una pistola in mano
e cerchi qualcuno da uccidere nel buio
I tuoi cani neri.
Invece ti senti erratico in zone d’ombra
dove cani ringhiano senza che puoi vederli
anche se li senti morderti dentro
e colarti la bava, sulle ferite.
Fai quello che hai imparato da tempo:
fare scempio della propria vulnerabilità
e incamminarti in quell’arso e farsi distacco
affinché lo si possa toccare, sentire, morire
Indifferente a quei morsi, alla sofferenza
portare le stimmate su quell’io in avanscoperta
dubitando della sincerità di ogni nostro sentire
Il prezzo che si paga per ogni abbandono
all’impossibilità e incapacità di trattenere
e allora ti pieghi al proprio disprezzo
Preferisco una colica ad una poesia che concilia
per volgere lo sguardo altrove e dire io non sono così
Sono solo un essere schifoso che si da fastidio da sé
Per salvarsi, mica per altro e che l’amore
sia solo cio che accade. Niente altro
e levarmi in un volo dove sono gia uccello straniero
A che serve dare un senso alle nostre mancanze?
A che serve?
Anche gli angeli si inginocchiano
implorando la stella del nord
Li ho visti.
Son stato con loro una volta

(simurgh)

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