"È l’alba. I tre uomini sono sulla soglia di una porta dagli ornamenti arcaici, in cui più tardi comparirà un simbolo solare esoterico. Sotto di loro, una scalinata diroccata, un paesaggio di rovine. E, ancora oltre, la spiaggia, il mare, le onde. Un momento iniziatico. È l’incipit di Un mercoledì da leoni, pellicola cult del “fascista zen” John Milius, struggente inno alla libertà, all’amicizia e alla gioventù che a maggio compirà trenta anni."
Compiamo riti iniziatici,riti di passaggio, definiamo la nostra privata epopea attraverso riti simbolici: la grande impresa, un uomo solitario che si inventa la sfida, con se stesso, contro o per non importa, è incontrare sè stesso in fondo che cerca, averne di questo l'orgoglio, il vanto di essersi dimostrato, anche fosse l'ultimo in altro, in ciò che da lui ci si aspettava e che magari ha fallito, non importa, spesso è l'impresa che conta, che riabilita, che ti mette in pari con gli altri ma, sopratutto con te stesso e allora ci inventiamo punti apicali di tutta un'esistenza, anche un solo momento che sappia levarti il fiato, bfar vedere quanto vali, dove rischi e ti giochi tutto, il rispetto di te stesso al di la che uno metta su famiglia, o ci si sistema, c'è chi muore e chi si rassegna però nell'uomo alberga questa atavica, ancestrale necessità, che non ti insegnano le madri, viene trasmessa per via antropogenetica (si può dire cosi?)edè uno strano affare questo, che proviene dal mito, dalla leggenda e noi, maschi essenzialmente ce la si trova dentro, la si impara tra pari, crescendo, attraverso riti di passaggio, codice segreto, cosa molto seria, dove s'impara e si trasmette l'imprinting d'essere uomini, (cosa strana anche questa da spiegare)la grande onda, inseguirla per anni, tenersi pronti, ritrovarsi la ogni volta, l'onda che spazzerà via tutto e noi la in piedi, davanti, pronti anche a morire per rimanere sè stessi, anche se cambiando,anche solo per raccontarlo, noi c'eravamo, eravamo li quando arrivavano le quattro grandi mareggiate (del 1962, 1965, 1968 e, l’ultima, quella memorabile del 1974).
Mi viene in mente perchè Un Mercoledi da leoni è stato anche quello di Federica Pellegrini l'altro giorno, mercoledi 27. Ed ero la commosso ad assistere alla sua impresa, a sfidare a suo modo l'onda, provavo orgoglio e la sognavo mia figlia.Provavo orgoglio per l'italia dei semplici, che si fanno il culo per un sogno, non dico lo sia lei, non è questo, anche se è strafiga. Son cose che mi cavano il fiato.
L'acqua, non importa quale e neanche la roccia o il cielo. Nelle le acque esotiche del Mekong, dove è ambientato quell’Apocalypse Now : «Charlie don’t surf»: la battuta del pazzoide tenente colonnello Kilgore, impegnato a cavalcare le onde in mezzo alla “sporca guerra”, è entrata a pieno diritto nella storia del cinema. “Charlie”, ovvero il vietcong, nel gergo militare statunitense, “non fa surf” ed è probabilmente questa, al di là di ogni altra motivazione politica, la allucinata logica in base alla quale se ne reclama la distruzione. La battuta di Kilgore ispirerà i Clash – Charlie don’t surf è il titolo di un loro singolo
I Baustelle, che sono senesi, riprendono questa canzone ribaltandone la sentenza con il loro
"Charlie fa surf". Un altro inno alla giovinezza libertaria, ribelle al "mondo di grandi e di preti", decadente e nichilista ma sempre ad inneggiare al mito e alla rivolta, per quella libertà che ogni generazione reinventa
vorrei star fermo mentre il mondo va:
ho quindici anni. Programmo la mia drum-machine
e suono la chitarra elettrica: vi spacco il culo.
È questione d’equilibrio, non è mica facile.
Charlie fa surf, quanta roba si fa, MDMA».