martedì 2 agosto 2011

Elegia al cadere






«E noi che la felicità la pensiamo
in ascesa, sentiremmo la commozione,
che quasi ci atterra sgomenti,
per una cosa felice che cade»

(Rainer Maria Rilke
,Elegie Duinesi, X, 110-114


Elegia al cadere

Allora so: del caos delle parole
del perchè cadano davanti ad un'energia nuova
del perchè cadano gli amanti e i testimoni

Allora so: di quel caos la rivelazione
come dalla rupe sulla scogliera l'amante trova pace

Allora so: di quel che prima non era stato
della felicità che succedeva al caos prima dato

Allora so: di quello sfrecciare di un aneurisma sulla statale
di quello sguardo che passeggiando si apriva all'immensità del mare

Allora so: che è cadere che voglio in questo abisso
Nella felicità schiantarmi come rocce dalla rupe

Allora so di quando cosa ch'è felice cade
e a quel cader io mi consegno per trovarmi poi smarrito

di simurgh che non sa mai, quando parte, del come infine poi gli vadano a finire


Della violenza la forza, quel devastare che il sentimento, nell'irrompere, sconquassa. Di quel silenzio il frastuono che poi infine placa. Le parole sono suoni, almeno per me, tante volte che vanno oltre i significati e cercano il loro potere nel saper evocare. Come puo esserlo un quadro per esempio. Un'imprecisione che dilata e che sa trovare nell'altro, che incrocia ed attraversa, una sorta di assonanza, un sentire che va oltre il senso, per farsi infine solo incontro. Quasi come se le parole fossero solo un pretesto che ti porta piu in la di esse, in un altrove dove ci si ritrova con emozione..
"Allora sò che quando cosa ch'è felice cade". Di quel cadere voglio dire. Di Rilke, per dire, di quelle parole innanzi tutto è la potenza che avverto, prima ancora del loro senso. In fondo a me basta questo: l'emozione che avverto senza parole che dentro mi esplode. Beh, esplode dai diciamo che son come quelle micciette che gli si da fuoco a capodanno. Piccole illuminazioni sulla via per Damasco.

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