Nel reparto dove stava la chiamavano la ballerina.
Quei polpacci mi incantavano tendendosi mi chiamavano suscitando un'impulso di desiderio, come quei capelli raccolti sulla nuca, in un crocchio a cui niente sfuggiva e, quando un ciuffetto scappava era per me visibilio guardarla, quella nuca scoperta, la curva, la fossa scendeva sul collo, sparendo .
(Goldmund & Rafael Anton Irisarri - Gnossienne No.1)Preso da QUA'
La ballerina faceva queste cose sul letto della sua stanza d'ospedale. Con del fil di ferro che non avrebbe neanche potuto tenere in quel reparto la. Creava mondi interi di figure e storie incredibili che si teneva in testa senza dirle a nessuno.
Si capiva subito che era una ballerina di professione. La guardavo quel giorno. La guardavano anche i due vecchi genitori seduti sulla panchina la fuori, un giardinetto del reparto con quattro piccoli alberi, la recinzione di rete di ferro, alta con l'edera e un gelsomino che si arrampicava . La guardavano stando un po piegati in avanti, sospettosi e con occhi vigili ma c'era tenerezza e compassione per quella figlia, si vedeva, si capiva. Lei faceva le sue giravolte buttando in aria le gambe saltava e atterrava tra loro mentre le ombre si facevano lunghe. Il vecchio fumava delle sigarette senza filtro e con la lingua si toglieva piccoli pezzetti di tabacco dalle labbra. Lei frugava nella sua borsa che teneva aperta sulle ginocchia. Teneva un fazzolettino di carta nel pugno e ogni tanto si asciugava delle lacrime che le scivolavano giu. La ballerina danzava la sua estasi e volteggiava cosi mentre io faccevo finta di niente, quasi a non essere li. I genitori gli avevano portato della biancheria, delle vestaglie da notte, una tuta, canottiere, mutande robe cosi. Indosso aveva una di quei camicioni di carta che ti danno negli ospedali se non hai la tua roba o se ti portano in sala operatoria. Era un peccato perche dentro quel camiciotto di carta non le si vedeva nessuna forma ondeggiare del corpo. I suoi piedi erano scalzi. Mi piaceva guardarli quando si tendevano verso le punte e il collo del piede prendeva quella forma flessuosa. Le lunghe braccia si libravano lontane dal corpo ed era come cercasse di tenere in equilibrio una piuma sulla punta di ciascun dito. Faceva dei salti qua e la. Pareva con quelli slanci volesse uscire dalla sua pelle e come piume che teneva sulle dita con un salto finire chissà dove. I vecchi genitori si alzarono. Andavano via. La salutarono. Torniamo domani gli dissero. La vecchia mamma si strofinava quel fazzolettino di carta sotto gli occhi. Quando se ne andarono lei si fermò. La danza dentro di lei di colpo era morta. Fissava nel vuoto qualcosa che era sparito e neanche lei vedeva piu. Io battei le mani, adesso che non c'era nessuno e dissi "Che meraviglia! Brava, brava, bravissima". Mi guardò adesso che era spenta. Prese dal tavolo una di quelle figure che faceva e mi si avvicinò. "Ce l'hai una sigaretta?" mi chiese. Tirai fuori il pacchetto e gliela porsi assieme all'accendino. "Sei veramente bravissima. Una ballerina fantastica" le dissi con entusiasmo. "No, non è vero" disse lei priva di ogni espressione, mi scivolò via .
Lei si girò per accendersi la sigaretta e ripararsi dal vento. Un bicchiere di plastica di quelli delle macchinette del caffè rotolò per terra, sul cemento del piccolo giardino. Pareva arrotolasse la sua ombra che quell'ora faceva lunga e pareva uscire dal bicchiere. Un merlo volando si appoggiò sopra la rete e fischiò due tre note. Io schiacciai la sigaretta sotto il mio piede e soffiai il fumo per aria guardando quel bicchiere e poi il merlo. Quando mi girai a guardare la ballerina vidi che la camicia da notte di carta stava bruciando e una fiamma arancione si alzava dall'orlo. Mi alzai subito per dirle che stava bruciando. Un raffica di vento fece alzare la fiamma, ci fu un lampo e la ballerina avvampò, coperta da un manto di fuoco. Ero impietrito. La ballerina sollevò le sue lunghe braccia e levitò lasciando il giardino sollevandosi dalle lunghe gambe, come una fenice da quella crisalide di carta, alzandosi sempre di piu, fino a che la camicia da notte le si stacco dalle spalle e svolazzò via. Un fantasma nero e sbrindellato che saliva in cielo in mezzo ad una colonna di fumo e cenere, e a quel punto lei tornò a terra, nuda e bianca e rimase li, praticamente imperturbabile. Prese su le sue ballerine di lavanda, eleganti e diffidenti nei fili di ferro che non diranno niente di quanto accaduto, casomai se ne fossero accorte. La ballerina si girò e, nuda e bianca tornò dentro.
Le foto le ho trovate QUA'
L'ispirazione al racconto proviene da un libro di Charles D'Ambrosio "Il museo dei pesci morti" Minimum fax
4 commenti:
mi associo al commento di Ugo lasciato su libero.
All'encomio? Altra parola che mi verrebbe da ridir sù. A me suona da post-mortem. Ah si, che ho voglia di scriverne una per qualla serie di post di "Quella vlta che son morto". Grazie teti
sì.
hai fatto bene a comprendere PETROLIO.
ci sta.
io no.
10 anni son tanti e i prossimi mi sa che non li vedo.
domani un consulto con Guchi che è via e Cartisea e poi parto, ho questa idea che non torno.
è un mese che ci penso e infine ho capito che non torno e tanto mi basta.
brutta storia esser nati storti, ma se leggessi questo commento non farei niente.
le cose a metà non mi piacevano.
(comunque prima di andare spiego meglio se poi passi vedrai che è tutto a posto.)
è che non riesco a fare una cosa a metà. quelle minute sì ma quelle grandi no.
sta pensata di andare ad alcatraz è grossa e non ha niente a che fare con teti.
me la devo vedere con tutta me, scusa l'assenza. teresa
l'ho letto il libro… e mi somiglia anche un po', troppo. Come quelle ballerine col fil di ferro, dovrebbero essere fortissime e invece ci vuol un soffio per farle volar via. Irisarri e Goldmund son contentissimi. :)
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